Il nome di origine medievale, Macchia Saracena, ricorda le incursioni dei saraceni che nel sec. X si stabilirono in questa località considerandola luogo di sacro rifugio. Poichè, però, di saraceno a Macchia non vi è nulla, l’altra ipotesi etimologica ci riconduce all’epoca sannitica; su antichi carteggi medievali è menzionato il nome Maccla Saracina.
Maccla sarebbe una zona alberata o particolarmente verdeggiante, mentre sarracina può essere associato all’antico termine osco “sarra”, che significa rocca o roccia, dalla morfologia del terreno e cioè da una rocca alberata situata al centro di un altopiano. Nel III sec. a.C. (all’epoca della costruzione della via Latina) il paese doveva essere costituito da poche case coloniche edificate a ridosso dell’unico rilievo roccioso esistente nell’assolata ed ampia pianura; questa collina rappresentò, attraverso i secoli ed in diversi periodi storici, il miglior luogo di controllo dell’intero territorio settentrionale del matese, nonchè l’avamposto principale a guardia del territorio di Isernia.
Situata nel bel mezzo della via Latina, Macchia vide sorgere in epoca romana varie Taverne, luoghi di sosta e di ristoro per viandanti, tutte situate lungo la piana nella località detta ancor oggi “le Taverne”. Ne resta una testimonianza preziosa in un bassorilievo detto di Calidio Erotico oggi conservato al museo del Louvre a Parigi; era l’insegna di una osteria unica nel suo genere, in quanto l’oste aveva fatto scolpire una scena tipica a pubblicizzare offerte di prestazioni amorose insieme all’alloggio. Nelle campagne circostanti sono emersi, inoltre, tantissimi reperti di epoca remota che forniscono una prova tangibile dell’ importanza di Macchia al tempo della “Roma Caput Mundi”.
La più remota notizia di Macchia da noi conosciuta risale al 1269, quando l’università fu assegnata in feudo ad Amerigo de Sus. Roberto d’Angiò nel 1343 assegnò Macchia in feudo ad Andrea d’Isernia, figlio di Landolfo ultimo della prole del grande feudista, di cui tessiamo la biografia nella monografia di Isernia. Alla morte di Andrea di Isernia, Macchia passò in feudo alla famiglia di Sabran comitale di Agnone. Dal 1464 al 1519 Macchia ebbe vicende feudali e signorie identiche a quelle di Monteroduni. Macchia divenne feudo, probabilmente della famiglia Frezza; nella seconda metà del secolo XVI° era baronale di Macchia la famiglia De Maria, le cui origini e vicende ne sono perfettamente ignote. Nel 1586 era titolare Luigi de Maria. In proseguio il feudo fu comprato das Giovan Donato della Marra, il quale conseguì il titolo ducale sul medesimo nel 1611. La famiglia della Marra è considerata di origine normanna, e la medesima da cui uscirono due conti antichi di Molise. Fu ascritta poi al seggio di Capuana, e nel 1381 vestì l’abito di Malta. Arma sua : uno scudo di azzurro alla banda doppio merlata di argento, ossia scala militare, accompagnata nel capo dal rastello a tre pendenti di rosso. Luigi della Marra fu successore di Giovan Donato, Giovambattista successe a Luigi, e non avendo prole, ma essendo oberato di obligazioni, donò il feudo al proprio fratello Ferrante duca della Guardia. Giovambattista morì nel febbraio 1630. I suoi creditori chiesero ed ottennero che il feudo fosse esposto in vendita all’asta pubblica, e Macchia Saracena fu venduta nel 1638. Aggiudicatario del feudo in tale anno fu Cesare Garcia, o di Grazia, di Castel di Sangro, per la somma di 24.650 ducati. Dei titolari di questa stirpe per Macchia ci sono noti soltanto: Cesare, acquirente, deceduto anteriormente al 1640, e Francesco suo nipote e successore vivente nel 1648. Ai di Grazia , forse per successione femminile, seguì la famiglia d’Alena, che tenne il feudo dalla seconda metà del secolo XVIII° all’epoca dell’eversione della feudalità. Nel 1811 Macchia fu assegnata al distretto di Isernia. Probabilmente nel 1848 fu elevata a Comune autonomo; nel 1861 fu collegio elettorale di Isernia, dal 1881 fu collegio elettorale di Campobasso.
IL CASTELLO BARONALE
Fu edificato nel 1100 circa da Clementina, figlia di Ruggero II Normanno, re di Sicilia, quando il feudo fece parte della contea di Ugone del Molise. Il presidio passò nelle mani degli Angiò, degli Afflitto e dei baroni Rotondi. Nel 1480 fu restaurato in stile rinascimentale come residenza patrizia, acquistato da Giovanni Donato della Marra, che fu conte di Macchia. Nel 1748 il castello fui venduto a Maria Grazia Rotondi, poi ceduto a Nicola d'Alena. Celeste d'Alena fu baronessa di Macchia, sposatasi con i Frisari, conti di Bisceglie e patrizi di Castel San Vincenzo. Fu teatro di tante gesta cavalleresche nel medioevo. Restaurato nel 1500 e poi nel Settecento fu teatro degli eventi bellici tra francesi e Sandefisti nel 1799, nonché di quelli tra “briganti” filoborbonici e garibaldini nel settembre 1860. Il maniero ospitò viaggiatori e scrittori di tutto il mondo e fu anche quartier generale dello Stato Maggiore tedesco nel 1943-1944 e poi dell’Alto Comando italiano di liberazione e quindi di ufficiali superiori americani dal 1944. Nel palazzo ci sono fantasmi cortesi, il Conte del Molise De Molisis che si aggira con la sua spada e seguito da soldati in armi e corazze antiche. O anche spettri di cameriere della rocca vittime di morte accidentale seppur violenti, amanti, persino di un ufficiale borbonico, il giurista Rodio, e del giovane tenente Basile della Real Gendarmeria di Isernia, tra i protagonisti della rivolta filoborbonica di Isernia dal 30 settembre 1860, Dopo altre imprese, il Basile fu fatto prigioniero e finì nel lager di Fenestrelle, dove spari misteriosamente nel luglio 1862. Il prospetto dell'edificio domina la piazza antistante il borgo, abbellito da una loggia rinascimentale di archetti a tutto sesto. La prima parte di questa loggia risale all'epoca aragonese, con copertura che poggia su 5 piccoli archi. Il resto del castello si sviluppa su 3 livelli, di cui il più alto costituisce la mansarda. Nel cortile interno si distingue la bella scalinata rinascimentale con il colonnato, che porta i piani nobili. Nel piano di terra ci sono le cantine, le scuderie e le stanze dei servi. Il piano alto era la dimora dei nobili, con varie stanze, tra cui la cappella privata con reliquie diverse.
S. NICOLA DI BARI
POST 1182 - ANTE 1779
La chiesa principale, dedicata a San Nicola di Bari, nei pressi del castello.
In pianta longitudinale ad aula, esternamente in pietra a corsi irregolari, con portale settecentesco in pietra modanata e vi si accede da una scala esterna. Adiacente alla facciata la torre campanaria caratterizzato da tre ordini divisi da cornici modanate in pietra.
SANTA MARIA DI LORETO
POST INIZIO XVI - ANTE SECONDA METÀ-XX
Antico monastero ridotto a rudere. Alcune tracce dei muri sono ancora visibili a terra, mentre la zona dove era situata la chiesa è stata restaurata con un intervento volto alla protezione e conservazione del manufatto. E’ stata costruita una teca trasparente, in vetro, indipendente dai resti e sorretta da una struttura in metallo con pilastri e tetto con capriate a due falde. L’ingresso è stato sopraelevato con qualche gradino dal piano di calpestio e realizzato squadrato, in pietra, con portone in ferro. L’intorno è stato sistemato con un’area per il ristoro. La chiesa è in discreto stato di conservazione ed utilizzata in particolari periodi dell’anno per le funzioni religiose.
CHIESA DI SAN ROCCO
POST FINE XVIII - ANTE FINE-XVIII
La chiesa è disposta secondo un orientamento Est-Ovest e presenta un impianto rettangolare ad aula. La copertura è a due falde; l’unica navata è priva di decorazioni e stucchi ed è coperta da un finto solaio in masonite ed è illuminata da una finestra semicircolare posta sull’ingresso e due sulle pareti laterali. La zona presbiteriale è leggermente rialzato rispetto al piano della chiesa ed è separato da un arco e la copertura è una volta a crociera. La facciata presenta un andamento a capanna delineata da una cornice poco sporgente. Al centro il portale in pietra.
CHIESA DI SAN BIASE
POST INIZIO XIX - ANTE INIZIO-XIX
La chiesa è disposta secondo un orientamento Est-Ovest e presenta un impianto rettangolare ad aula. La copertura è a due falde; l’unica navata è priva di decorazioni e stucchi ed è coperta da un solaio in legno ed è illuminata da una finestra semicircolare posta in asse con l’ingresso e due sulle pareti laterali. La zona presbiteriale è leggermente rialzato rispetto al piano della chiesa. La facciata presenta un andamento a capanna delineata da un timpano con cornice aggettante. Al centro il portale in pietra.
CHIESA DELLA S.S. TRINITA’
POST INIZIO XIV - ANTE INIZIO-XX
La chiesa, a pianta rettangolare, è posta con asse di orientamento Est-Ovest lungo la SS87 per Isernia su un terreno in forte pendenza. Ha un impianto ad aula e la facciata ad attico nasconde le falde del tetto a capanna con manto di copertura in coppi. La muratura è in pietra e la facciata è molto semplice con l’ingresso al centro del prospetto ed una piccola apertura in asse. Il prospetto Sud contiene un portale squadrato in pietra che però è stato richiuso. Al prospetto Ovest invece sono ci sono dei resti di muratura dell’antico convento. All’interno l’aula della chiesa è voltata a botte.