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lunedì, 22 agosto 2022

LA STORIA

L'etimologia del nome "Paupisi" non è molto chiara. In tal caso sia il professor Floridante Bizzarro che il maestro Nicolino Polcino, illustri e molto compiante personalità nella storia del paese, si sono abilmente cimentati in questa non semplice ricerca con risultati interessanti e dissimili al contempo; una ricerca alternativa, che , pertanto, non ha nessuna pretesa di oculata indagine storica, ha portato alle seguenti considerazioni: sembra appurato che in contrada San Pietro La Difesa si trovassero anticamente tombe romane, la cui ubicazione odierna (ammesso che ancora esistano) resta sconosciuta. Il maestro Nicolino Polcino, nel suo libro "Paupisi del mio cuore" riferisce di una bolla papale del XIII secolo che menziona il paese come "Papisii", offrendo come possibile soluzione di questo rompicapo, una qualche connessione con la gens Papia dell'antica Roma. Sfruttando questa stessa radice, sono state effettuate ricerche tra alcuni testi sulla storia di Roma, e ci si è imbattuti in un Lucius Papirius Crassus, dittatore a partire dal 339 a.C.  Si potrebbe obiettare che il nome Papirius appare slegato da "Papisii". Tuttavia, a corroborare questa tesi, giungerebbero due interessanti corollari. In primis , narra Cicerone ,riferendosi a questo personaggio, che "primus Papisius est vocari desitus", cioè che prima era chiamato Papisius, quindi c'era stata una variazione "anagrafica" del nomen. In secundis, pare che costui si fosse distinto nelle campagne militari contro i Sanniti. Due indizi che certamente non fanno una prova incontrovertibile, ma che, quantomeno, rappresentano un discreto punto di partenza. Se Telese, d'altronde, prende il nome da Caio Ponzio Telesino, altro importante condottiero, Paupisi potrebbe anche derivare il suo nome da Papirius/Papisius dittatore romano. Le storie di tombe e ritrovamenti di epoca romana ala contrada San Pietro potrebbero celare un possibile avamposto o accampamento fondato da questo insigne dittatore.
Per il professor Bizzarro, il nome è derivabile dall'unione di Pagus (paese in latino) e pisus (aggettivo che starebbe a significare "appeso", data la natura del territorio collinare, ai piedi della montagna di S.Mennato). Tuttavia non c'è traccia nella grammatica latina dell'aggetivo pisus , quindi anche tali approcci, sono frutto di teorie e congetture. Il primo documento che riporta di un Casale nomato Paupisi è un atto notarile datato 1262 di cui viene riportato quanto ci interessa: “…l’abate Donato da Caczano (forse Cacciano) per riparare i danni prodotti all’Abbazia di S. Maria della Grotta da un incendio prese in prestito da Riccardo Marzone 5 once d’oro e 15 tarì. L’atto fu rogato a PAUPISI l’8 novembre 1262 dal notaio Giorgio d’Airola di Tocco…” Considerato che nel 1308 si pagavano regolarmente le decime alla Diocesi di Benevento e preso atto dell’atto notatile del 1262, è logico pensare che del Casale di Paupisi doveva esservene traccia consistente già da qualche secolo. Stando ai lenti incrementi demografici di allora si potrebbe far risalire il primitivo agglomerato abitativo all’anno 1000 con un numero di anime tra le 150-200. Paupisi fu un Casale di Torrecuso fino al 1748 , anno in cui il Comune divenne indipendente. Nel 1892 fu annesso a Paupisi il comune di Ponte, che ottenne l’autonomia nel 1913.
 
L'ultimo fine settimana di agosto ha luogo a Paupisi "La sagra del Cecatiello": in questa sagra è possibile bere vino locale come l'Aglianico, la Falanghina e la Coda di Volpe e mangiare piatti tradizionali come cecatielli e padellaccia. I "Cecatielli" sono una pasta fatta rigorosamante a mano con farina di grano, quindi un piatto povero. Viene preparato estemporaneamente alla cottura e la lavorazione manuale dona alla pasta una caratteristica fragranza. Per tradizione viene accompagnato da un sugo a base di carne ma si presta anche ad essere gustato con diversi condimenti.
La Padellaccia è un piatto tipico che proviene dalla passata usanza della macellazione del maialetto da tutti allevato, nelle masserie e persino nelle case di paese. Essendo quel maiale, in passato, l'unico tipo di carne economicamente accessibile, i pezzi migliori venivano destinati alla conservazione e, nella giornata della macellazione, era tradizione cucinare la Padellaccia prendendo le parti meno nobili, friggendole in olio di oliva ed insaporendole con l'accompagnamento di vino, peperoni e patate.