LA STORIA

Secondo la leggenda, la fondazione di Ceglie sarebbe dovuta al mitico popolo dei Pelasgi, arrivato in Puglia dall'Oriente, al quale vennero attribuite le costruzioni megalitiche note con il nome di specchie. In seguito all'arrivo di coloni greci nella zona, intorno al 700 a.C., la città assunse il nome di Kailìa. Il nucleo urbano viene considerato esteso ai piedi di un colle (nella zona dove attualmente sorge la stazione ferroviaria delle Ferrovie Sud-Est), difeso da fortificazioni i cui scarsi resti sono noti con il nome moderno di "Paretone". Presso la città sorsero santuari extraurbani dedicati alle divinità greche Apollo (in corrispondenza dell'odierna chiesa di San Rocco), Venere (sulla collina di Montevicoli) e sotto la Basilica di Sant'Anna nel corso dei lavori di sondaggio i frammenti di ceramica votiva e resti del tempio della Dea Latona madre di Apollo e Diana (Archivio 1987). La città fu punto di avvistamento del popolo dei Messapi subalterno ai centri di Oria e Brindisi a lungo in lotta contro la spartana Taranto che aveva un suo avamposto militare detto Phrouron in località Pezza Petrosa nel territorio di Villa Castelli. Taranto aspirava ad uno sbocco sul mar Adriatico, e giunse a sottomettere alla sfera d'influenza de capoluogo jonico tutti i centri messapici, oltre a Ceglie, caddero sotto il dominio tarantino una dopo l'altra Oria, Rudiae, Lecce, Brindisi, Egnatia e Càrbina. In epoca romana la città era ormai decaduta. In età normanna Ceglie è nota come feudo, Castellum Caeje, sotto l'autorità del Castellano Paganus che delinea i suoi confini con la potente città di Ostuni. in età Sveva il borgo è denominato Celie de Galdo, il suo signore più importante e combattivo è Glicerio de Persona signore delle Terre di Ceglie del Gualdo, di Mottola, di Soleto e del Casale di San Pietro in Galatina. Glicerio parteggiò per Corrado IV del Sacro Romano Impero figlio di Federico II del Sacro Romano Impero e Re di Sicilia contro gli angioini. Caduto anche Manfredi di Sicilia, l'ultimo degli Svevi, Carlo I d'Angiò ordina la cattura di Glicerio, che si era dato alla latitanza nelle campagne di Taranto dove fu catturato, condotto in carcere nel castello di Brindisi (insieme ai figli Gervasio, Giovanni e Perello) e condannato per fellonia, subì infine il patibolo. I possedimenti che deteneva furono confiscati e ceduti ad Anselino de Toucy. Dotato di un piccolo castello, il feudo fu successivamente in possesso delle famiglie Orimi, Scisciò, Brancaccio, Dentice e Pignatelli, e degli arcivescovi di Brindisi. Nel territorio circostante erano già stati fondati gli importanti monasteri dell'abbazia di Sant'Anna, alla periferia dell'odierno abitato e della Madonna della Grotta, di cui resta la chiesa, sulla via vicinale per Francavilla Fontana. Nel 1521 venne costruita al posto della chiesa matrice la collegiata, ingrandita e arricchita di decorazioni barocche nel 1786. Il 24 ottobre 1584 il feudo venne ceduto in permuta da Cornelio Pignatelli a Ferdinando Sanseverino, conte di Saponara e barone di Viggianello. I Sanseverino ampliarono il castello e promossero la fondazione del convento dei Cappuccini, oggi scomparso, e di quello dei Domenicani, sede del comune fino al 2005. Ai Sanseverino subentrarono quindi i Lubrano e i Sisto y Britto: in seguito all'estinzione di questa casata con il duca Raffaele, nel 1862, il castello e le residue proprietà dell'ex feudo vennero ereditate dalla famiglia Verusio. Durante il Risorgimento ebbe sede a Ceglie una vendita carbonara, ad opera di Domenico Termetrio di Cisternino, e una sezione della Giovine Italia, ad opera di Pietro Elia, amico personale di Giuseppe Mazzini. Dopo l'annessione al Regno d'Italia visse un periodo di fioritura e agli inizi del XX secolo vide una crescita demografica, nonostante la presenza del fenomeno dell'emigrazione. 
 
LUOGHI DA VISITARE
 
Castello Ducale: la torre quadrata, simbolo tradizionale della Città di Ceglie Messapica fu realizzata nel 1492 durante la Signoria dei Sanseverino. Alta m 34, conserva ancora tracce visibili del suo carattere militare; stanze ampie, dalle spesse pareti, si aprono lungo una scala che nella parte terminale si restringe a chiocciola con strette feritoie sulle pareti; il cornicione aggettante è munito di merli, piombatoi e barbacani; dall’alto della torre è possibile avere la visuale completa del perimetro del castello, difficilmente individuabile dall’esterno. All’interno dell’atrio, a destra una breve scalinata conduce ad un piccolissimo appartamento, un antico posto di guardia la cui veranda a doppio arco affaccia sul sagrato della Chiesa Collegiata; a sinistra una stretta scala, addossata alla torre quadrata, conduce agli ambienti posti sull’ingresso del castello, con stanze che si affacciano sia sull’atrio che sul sagrato della Chiesa, con una veranda a triplice arco. Sempre nell’atrio, a ridosso della torre, un pozzo sormontato da colonne, dal quale, secondo la tradizione attingeva acqua l’intera città durante i periodi di siccità. Di fronte all’ingresso, una scalinata ed un portale cinquecenteschi conducono ad una delle parti residenziali: attraverso la Sala del Consiglio, un tempo solenne per le decorazioni della volta in legno, ormai irrimediabilmente danneggiata, si entra in un ampio vestibolo con volta decorata da pitture del ‘500; sul lato sinistro un lungo corridoio immette in stanze con caminetti monumentali in pietra. Scene bibliche in stile rinascimentale sono dipinte sulla volta del primo di questi ambienti. Probabilmente nel corso del XIII secolo fu allargato il nucleo originario del castello, sino ad allora palazzo signorile, ma il castello assume la sua connotazione definitiva quando il feudo viene rilevato da Fabrizio Sanseverino. Costui fa acquisire al palazzo la dignità ducale edificando la torre quadrata e sistemando il cortile interno, i suoi successori gli appartamenti che si appoggiano alla parte preesistente. Di grande suggestione il Giardino, aperto al pubblico per la prima volta nell’ambito delle manifestazioni di "CegliEstate ‘98". Feudo dei Sanseverino e dei Sisto y Britto, dal 1862 il castello è proprietà della famiglia Verusio.
 
 
Chiesa Collegiata: la facciata è articolata in due piani sormontati da un frontone triangolare; Il piano inferiore è diviso verticalmente da lesene che delimitano scomparti; sul timpano del portale maggiore un putto; sul frontone triangolare poggia una iscrizione che ricorda l’ampliamento della chiesa del 1786; ai lati i due portali minori con frontone curvo e timpano liscio. Il piano superiore è diviso in tre scomparti: quello centrale ospita un finestrone. L’interno, a tre navate (quella centrale di dimensioni maggiori) e tre absidi, presenta i canoni della tipica chiesa imbarocchita. Dietro l’altare maggiore, in marmo, è collocato il coro ligneo. Nella navate laterali, sei altari marmorei sormontati da affreschi o statue. Tra le opere visibili nella chiesa si ricorda: il "Crocifisso" ligneo del XVI secolo collocato nell’abside sinistro; la "statua di S. Antonio da Padova", patrono di Ceglie, del XVIII secolo; la pala posta sull’altare raffigurante "l’Immacolata Concezione", la scultura in pietra policroma raffigurante "Cristo uscente dal sepolcro", opera del XVI secolo attribuita a Raimondo da Francavilla e conservata nella sagrestia. Nella chiesa sono conservate alcune opere di Antonio Domenico Carella, pittore pugliese del ‘700, autore degli affreschi del Palazzo Ducale di Martina Franca. Gli affreschi, alcuni dei quali gli vengono attribuiti, ancora oggi visibili sono: I quattro evangelisti posti nei pennacchi della cupola, l’Assunta nell’ovale sul soffitto della navata centrale, Gesù che scaccia i profanatori dal tempio nell’ovale sul soffitto della navata centrale, Padre Eterno ed Angeli sul soffitto del coro, S. Raffaele e S. Michele sul sovrapporta centrale, Scene bibliche sui due transetti. Degna di nota la cena biblica di destra con veduta prospettica di Ceglie di fine ‘700, che costituisce la più antica raffigurazione della città: si riconoscono la torre del castello ed una chiesa che potrebbe essere la chiesa di S. Rocco o l’abbazia di S. Anna. Oltre agli affreschi, D. Carella firmò anche alcune tele: la Madonna con Bambino tra i santi Vincenzo di Paula e Filippo Neri datata 1792; l’Ultima Cena, (1797) collocata nell’abside di destra; S. Oronzo; S. Teodosio Magno datata 1791; la Natività del Battista; la Madonna del Carmine tra Santi.